Trump, l’uomo che trattava dazi come caramelle
Donald Trump si sveglia la mattina, guarda fuori dalla finestra, si accende l’elmetto immaginario e decide: “oggi lanciamo un dazio”. Poi però ci ripensa. Lo sospende. Lo raddoppia. Lo dirige contro la Cina. O forse no. Forse lo dirotta sull’Europa, così per tenersi in allenamento.
Il dazio è il suo yoga, la sua forma di meditazione attiva. Mentre noi facciamo stretching, lui mette il 25% sulle auto tedesche, poi si rilassa con un 10% sui microchip, e conclude la sessione con una tassa punitiva sulla mozzarella di bufala (colpevole, evidentemente, di essere troppo buona).
In questi giorni ha concesso una “pausa di 90 giorni sui dazi” – tranne alla Cina, ovvio. Un gesto magnanimo, un po’ come un pitbull che molla il polpaccio della vittima per tre mesi, in segno di pace.
Ma attenzione: Trump non è solo tariffe e minacce commerciali. Il 15 aprile, ha in agenda un incontro con il suo vice e, presumibilmente, con se stesso. Per discutere delle solite cosette: smantellare le regole ambientali, ridurre le tasse ai ricchi, spiegare a Zelensky che deve arrendersi perché “così la smettiamo tutti e torniamo a vedere il Super Bowl”.
L’Agenda 47, il suo programma per tornare alla Casa Bianca, è un capolavoro: meno tasse, meno leggi, più trivelle, più armi, e via le “burocrazie”. Se gli lasciassimo il tempo, abolirebbe anche l’ortografia.
Obiettivi chiari, stile da bar
In politica estera, Trump punta tutto sul “dire la verità che non ti puoi permettere di dire”, tipo: “l’Ucraina ha perso”, oppure “la NATO non paga abbastanza”, oppure “ci serve il vostro gas, ma solo se lo pagate tre volte tanto”. Un approccio diplomatico, in stile cowboy ubriaco che negozia la pace con una pistola sul tavolo.
Sull’immigrazione, le intenzioni sono limpide: revocare protezioni, costruire nuovi muri, usare le catene, e far pagare il tutto al Messico, o magari all’Unione Europea, perché tanto sono tutti “freeloaders”.
E sul digitale? Beh, Musk può dormire sereno: Trump non gli chiederà mai di rimuovere contenuti illegali entro 24 ore. Piuttosto lo nominerà Ministro della Verità, con diritto di replica automatica a qualsiasi fact-checker.
Conclusione: Trump è già tornato (nella sua testa)
La verità è che Trump non aspetta il 2025. Per lui è già presidente. La pausa dei dazi è già legge. L’Ucraina ha già perso. Il gas è già nostro. E l’Europa? L’Europa è quel posto pieno di regole, di precauzioni, di diritti, di etichette sui cibi, che va messo in riga come uno scolaretto che non vuole bere latte ormonato.
Ma attenzione: se la Commissione europea non si piega, se osa ancora difendere il vetro di Murano, il Parmigiano, o — peggio — la salute pubblica, Trump tirerà fuori la sua arma segreta: il documento delle doglianze. Una Bibbia americana fatta di lamentele, richieste impossibili e pretese da impero in saldo.
Che poi, a guardarlo bene, non è un piano di governo.
È la lista di nozze del capitalismo aggressivo.