Trump lancia bombe, Meloni prende tempo, Salvini mette like

di Luciano Di Gregorio

Donald Trump si sveglia una mattina, si guarda allo specchio e twitta: “Non siate deboli, non siate stupidi.”

Poi dichiara guerra economica al mondo, tranne che alla Russia. E tutti pensano: “Ecco, è tornato il Trump che ci mancava. Quello che brucia trilioni con un post e poi dice che era uno scherzo.”

Il problema non è lui. Il problema è chi, in Europa, lo prende sul serio. Peggio: chi vorrebbe tanto imitarlo ma senza avere né i muscoli né i satelliti.

E così inizia l’ennesimo lunedì di passione per i mercati. Wall Street va giù, Milano la segue come una groupie disperata, e nel mezzo ci sono loro: i leader europei che fingono di sapere cosa fare.


Trump, l’arte del caos (con copyright)

Trump non è un pazzo. Trump è un pazzo organizzato. Ha una dottrina economica primitiva come una clava, ma funziona: spaventa, confonde, colpisce. Fa finta di negoziare, poi mena. Fa finta di cedere, poi mena più forte.

Chi non capisce è stupido. Chi lo imita senza avere un dollaro stampabile è peggio: è italiano.


Giorgia, il doppio passo dell’equilibrista col megafono spento

E Meloni? Ah, Giorgia. Ha costruito una carriera sulle ruspe di Salvini, sull’euroscetticismo da bar sport e sul “prima gli italiani”. Poi, una volta a Palazzo Chigi, ha scoperto che i decreti si firmano con le forbici in mano, perché prima tagli, poi prometti, poi neghi.

Ora si ritrova in trappola:

  • Se appoggia Trump, rompe con l’Europa e diventa la nuova Le Pen.
  • Se lo critica, tradisce il suo passato e perde la sua base più rumorosa.

Allora che fa? Convoca una “task force”.

Che in gergo politico vuol dire: “Non ho idea di cosa fare, quindi metto intorno al tavolo quelli che ne sanno meno di me, così mi sento meno sola.”

Nel frattempo parla poco, e quando lo fa, è per dire che “l’allarmismo va evitato”. Come dire: sta bruciando il salotto, ma evitiamo di gridare al fuoco.


Salvini, il solito: ruspa nel cuore, tastiera in mano

E il Capitano? Lui non aspetta altro.

Da settimane gira col navigatore puntato su “Ministero dell’Interno – corsia preferenziale”, ma ora spera che il caos globale gli regali lo sprint.

Ha detto che i dazi di Trump “sono un’opportunità”.

E certo: se la recessione picchia, può ricominciare a parlare di migranti. Se la Meloni vacilla, lui torna a dire “lo avevo detto”.

Non guida nulla, ma aspetta che qualcun altro sbagli il parcheggio.


L’Europa? Presa in ostaggio… da se stessa

Mentre a Washington si spara a colpi di tweet e dazi, Bruxelles risponde con i comunicati stampa.

Von der Leyen dice che bisogna “preparare la guerra per avere la pace”. Un aforisma che neanche un Baci Perugina sovranista oserebbe.

Si parla di “contro-dazi selettivi”, come se la risposta a un pugno fosse una carezza con tono fermo.


Il grande spettacolo del niente

Quello a cui stiamo assistendo non è un confronto politico. È una fiction in cui ogni attore recita male il suo ruolo.

Trump fa la parte del despota illuminato dal marketing.

Meloni finge di essere la donna forte che riflette (in silenzio).

Salvini fa la cheerleader della guerra economica, ma a bordo campo.

L’Europa scrive rapporti mentre l’economia crolla.

E noi?

Noi paghiamo il biglietto, seduti in prima fila, a guardare la commedia tragicomica del “chi comanda davvero?”

Nel frattempo i prezzi salgono, i salari no, e i governi fanno finta che tutto sia normale.


Morale (amara)

Il mondo brucia. Trump ride. Meloni tace. Salvini twitta.

L’unico dazio che non salta mai è quello che paghiamo noi, in silenzio.

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