Made in Europe: il lusso di morire più tardi
Pare che negli uffici di Washington circoli un documento segreto, lungo quanto la lista della spesa di un ipocondriaco paranoico. È la lettera a Babbo Bruxelles: contiene tutte le lagne, le doglianze, gli sfoghi e le frustrazioni dell’imprenditoria americana. E no, non c’è scritto “pace nel mondo”, ma “meno etichette sui polli imbottiti di ormoni”. Ognuno ha i suoi sogni.
In cima alla lista dei desideri c’è la richiesta più nobile: poter vendere in Europa carne che fa venire la barba anche alle galline. “Potenzialmente rischiosa per la salute”, dicono alcuni studi. Ma potenzialmente è tutto: anche inciampare in bagno è potenzialmente letale. Quindi avanti, lasciamoci vivere (ma meglio se in California, che lì è legale).
Segue a ruota il dramma degli OGM: in Europa si ostinano a volerli etichettare. Apriti cielo! Come se informare il consumatore fosse un diritto. Se poi, leggendo, sceglie di non comprare, è censura commerciale! Un vero sopruso contro la libertà americana di vendere qualunque cosa con lo zucchero a velo sopra.
E poi c’è la questione dei pesticidi. L’UE ne ha vietati 72, che gli USA usano ancora con disinvoltura. Risultato? L’uva californiana rischia di rimanere sulle navi come clandestina agricola. Ma noi europei abbiamo il vizio strano di voler vivere più a lungo. E infatti, spoiler: viviamo mediamente 3 anni di più. In Italia, addirittura 5. Coincidenze? No, sono i benefici collaterali di quel fastidio chiamato precauzione.
Sul fronte digitale, la musica non cambia. L’Europa chiede a Musk e compagnia di togliere contenuti illegali in 24 ore. Apriti cielo 2 – la vendetta. “Censura!” gridano dalle poltrone imbottite di Palo Alto. Ma se posti una minaccia o una truffa, forse sì, sarebbe anche ora che qualcuno ti tolga il megafono.
E le tasse? Eh. I colossi tech fanno miliardi in Europa ma versano briciole. Poi però piangono perché l’UE li costringe a trattare gli altri competitor come esseri umani. Il Digital Market Act? Un atto di guerra, per loro. In realtà, è solo fine dell’asilo nido. Basta col “io sono Google, quindi faccio come mi pare”.
Nemmeno l’arte scampa: la direttiva Huawei impone alle piattaforme di streaming di offrire almeno il 30% di contenuti europei. Una tragedia. Perché – incredibile a dirsi – c’è vita anche oltre Hollywood. E non solo su Netflix: pure nei cinema veri. Ma per loro è protezionismo. Per noi è difendere la cultura. Perché se non lo fa l’Europa, chi lo fa? Topolino?
E poi ci sono le denominazioni: basta con il Parmesan da discount che sembra gesso grattugiato, o con i salami made in Ohio che si chiamano “Prosciutto di Parma™”. L’UE ha deciso che le parole hanno un senso. E se scrivi “Murano”, dovrebbe esserci almeno una fornace in zona.
Tutto questo, secondo la visione trumpiana, è un attentato all’America. Che ora, nel nuovo ciclo di egemonia dolente, vorrebbe convincere l’UE a cambiare le regole in nome del libero commercio. O, più realisticamente, in nome del fatto che hanno più portaerei e più gas da vendere.
Ma c’è una notizia, forse spiacevole, da dare agli amici americani: l’Europa non è una colonia, anche se ogni tanto si comporta come tale. E se c’è un modello che — con tutti i suoi difetti — permette ai cittadini di vivere più a lungo, con più tutele e meno diserbante nel piatto… forse vale la pena difenderlo.
Trump vuole trattare? Benissimo. Ma non è detto che dobbiamo inginocchiarci ogni volta che qualcuno a Washington si sveglia e decide che il vetro di Murano è un ostacolo al libero mercato.
Perché sì, magari noi europei abbiamo l’aria un po’ snob, un po’ lentina, e facciamo troppe riunioni. Ma alla fine della fiera, moriamo più tardi.
E, modestamente, non è un dettaglio da poco.