Lo scudo, il dazio e la supercazzola strategica

di Luciano Di Gregorio

Nel cuore pulsante di Palazzo Chigi, tra un selfie istituzionale e una task force da salotto, è stato finalmente partorito il miracolo della politica economica italiana: lo scudo antidazzi.

Non un’arma, non una barriera. Ma una specie di mantello dell’invisibilità fiscale, cucito con gli avanzi del PNRR e qualche buona intenzione in saldo.

Mentre Trump gioca a Risiko con le economie globali e impone dazi con la delicatezza di un toro in un duty free, l’Italia risponde come sa fare meglio: convocando vertici, rinviando decisioni e cercando Wi-Fi per caricare i comunicati stampa.


Meloni chiama, le imprese ascoltano (forse)

La Premier, con piglio risoluto e sguardo da Annunciazione, ha dichiarato:

“Oggi saranno le imprese ad essere ascoltate.”

E da domani, forse, qualcuno risponderà anche.

L’idea è semplice: creare un dialogo. Ma con chi? Con le stesse imprese che, nel frattempo, stanno cercando di capire se il “dazio” sia una tassa o un personaggio di “Don Matteo”.

Nel frattempo, il governo garantisce protezione. Ma non ai prezzi, né all’export. Piuttosto alla propria immagine, con una campagna diplomatica che prevede una missione a Washington, probabilmente per dire agli americani:

“Scusateci, siamo italiani.”


Il grande ritorno del “Ministro del Rinvio”

A sorreggere questa architettura mistica c’è il vicepremier Tajani, che riesce nel difficile compito di sembrare sempre d’accordo con tutti, anche con quelli che si contraddicono tra loro.

Salvini, invece, colto da improvvisa ispirazione, ha colto l’occasione per proporre un collegamento tra i dazi e… i taxi.

Del resto, per il segretario leghista ogni problema può essere risolto con un numero: 49 (milioni) oppure 35 (euro a corsa). Non importa se l’argomento era la politica doganale internazionale.


L’Europa gioca a “Trova l’alleato”

Nel frattempo, l’Unione Europea, dal canto suo, appare come un condominio senza amministratore, dove ognuno abbassa le tapparelle al passaggio del postino doganale.

Von der Leyen propone di “rafforzare la resilienza”. Tradotto: più parole, meno contenuto.

Il riarmo economico si chiama “Prontezza 2030” – che suona come un nuovo profumo di Jean Paul Gaultier ma senza fragranza.

Una corsa agli armamenti da attuare con calma olimpica, che in sintesi significa: quando i buoi saranno scappati, chiuderemo anche il recinto… ma con stile.


Conclusione (ma anche no)

In questo teatro dell’assurdo, tra scudi immaginari, dazi reali e alleanze di cartapesta, l’Italia si scopre ancora una volta esperta in alchimia politica: trasformare la confusione in retorica, e la retorica in comunicato.

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