Negli ultimi anni, l’economia mondiale è stata scossa da eventi e decisioni
politiche che hanno svelato le fragilità insite nel sistema capitalistico. Tra queste,
le politiche protezionistiche e le guerre dei dazi rappresentano sintomi evidenti di
un processo che ha radici ben più profonde. La scelta di Trump di imporre dazi
contro la Cina, ad esempio, non può essere ridotta a una semplice soluzione
tecnica per salvaguardare l’industria americana, bensì deve essere letta come
parte di una strategia molto più complessa, volta ad accelerare dinamiche già in
atto.
Un capitalismo dell’austerità
Una delle chiavi per comprendere questo fenomeno è l’idea di “capitalismo
dell’austerità”, in cui le politiche economiche non rispondono più esclusivamente
agli interessi di crescita e sviluppo, ma sono fortemente influenzate da logiche di
contenimento e riduzione della spesa sociale. In questo contesto, Trump sembra
aver fatto emergere la dimensione politica dell’economia, mostrando che la
globalizzazione non è una tendenza naturale e inevitabile dell’essere umano, ma
qualcosa costruito su specifiche scelte ideologiche e politiche. La realtà è che
molte delle dinamiche economiche attuali non sono casuali, ma derivano da una
lunga serie di trasformazioni strutturali che hanno reso il sistema sempre più
fragile e inclinato a creare disuguaglianze.
L’economia, i lavoratori e il declino del welfare
Un punto centrale del dibattito riguarda il destino dei lavoratori: la globalizzazione
spinge una competitività feroce, spesso segnando il passaggio di produzione
verso paesi con diritti sindacali negati o salari irrisori. Negli Stati Uniti, per
esempio, l’idea che i dazi possano “salvare” i lavoratori impoveriti è stata
ampiamente discussa e criticata: dietro questi provvedimenti si nasconde il
tentativo di controbilanciare anni di deindustrializzazione e tagli al welfare.
Similmente, in Italia e in Europa, la sostituzione dell’assistenza sociale a favore
di misure che cercano di rafforzare la competitività globale ha lasciato indietro
molte fasce della popolazione, con conseguenze che si stanno manifestando in
forme di degrado e precarietà sul lavoro.
Il taglio alla spesa sociale, come evidenziato dal recente piano di riforme negli
Stati Uniti, in cui si prevede un taglio di ben 2 trilioni e 222 miliardi di dollari, è un
chiaro segnale del fatto che la politica economica si sta spostando verso un
modello di “guerra di classe”. Questo sistema, infatti, non solo penalizza il
benessere dei cittadini, ma mina anche i fondamenti della democrazia
economica stessa, portando a una crescente polarizzazione tra “i produttori” e “i
capitalisti” dei conglomerati privati.
La guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina: una questione
geopolitica
Il dibattito sui dazi non riguarda solo aspetti economici interni, ma assume una
dimensione geopolitica di grande rilievo. La decisione di Trump di attaccare la
Cina con dazi elevati è da interpretarsi come un tentativo di frenare la crescita di
una superpotenza economica che, negli occhi degli Stati Uniti, sta assumendo un
ruolo sempre più dominante a livello globale. Le esercitazioni militari cinesi vicino
a Taiwan, commentate come “a colpi veri”, fanno chiaramente capire che dietro
ogni decisione economica si nascondono strategie di natura militare e politica: se
non si riescono a contenere le pressioni economiche con modalità adeguate, si
rischia di dover fare i conti con escalation in altri ambiti, come quello militare.
Il confronto tra la Cina e gli Stati Uniti sottolinea la contrapposizione tra due
modelli: uno basato su un capitalismo autoritario e un controllo statale capillare,
e l’altro su una democrazia che, pur essendo pluralista, ha ceduto in parte alla
logica della deregolamentazione e della delocalizzazione. La crisi degli ultimi
anni evidenzia come le dinamiche globali forzino i governi a riconsiderare le
proprie strategie di sviluppo economico e di welfare state, cercando un equilibrio
tra la necessità di competere sul mercato globale e quella di garantire sicurezza
sociale ai propri cittadini.
Un futuro incerto: necessità di un’economia della
solidarietà
Di fronte al rischio di inasprimento dei conflitti commerciali e geopolitici, diventa
urgente ripensare le basi stesse del sistema economico attuale. L’obiettivo non
può essere semplicemente quello di attribuire la colpa a un paese o a un’altra
parte, ma di cercare una soluzione che promuova una “democrazia economica”,
in cui la solidarietà e la partecipazione diretta dei lavoratori siano al centro della
progettazione delle politiche pubbliche.
Proprio questo approccio alternativa sottolinea l’importanza di un modello misto,
in cui lo Stato ha un ruolo attivo nel proteggere i settori produttivi e nel garantire
condizioni decenti per i lavoratori, contrapposto a una tendenza globale che, in
nome della competitività, indebolisce la coesione sociale. La crescente
polarizzazione tra modelli economici – da una parte quello progressista, che mira
alla crescita della classe media e alla protezione sociale, e dall’altra quello
neoliberista, basato sulla deregolamentazione delle economie e sullo
sfruttamento intensivo del lavoro – è un tema che richiede una profonda
riflessione e un impegno collettivo da parte di tutte le forze sociali e politiche
impegnate nella trasformazione del capitalismo attuale.
In conclusione, la questione dei dazi e la guerra commerciale tra Stati Uniti e
Cina sono solo l’ultimo capitolo di una lunga storia segnata da trasformazioni
strutturali e da conflitti di interesse interni ed esterni. Se da un lato il
protezionismo potrà sembrare una misura schermante contro le crisi
economiche, dall’altro esso non è in grado di risolvere le fondamenta di un
sistema che ha già mostrato evidenti segni di cedimento. Solo una revisione
radicale del modello economico, che metta al centro la dignità dei lavoratori e la
giustizia sociale, potrà gettare le basi per un futuro in cui il progresso non sia più
sinonimo di esclusione e impoverimento.