Viviamo in un tempo in cui la parola “libertà” è stata svuotata di senso e riempita di significati nuovi, grotteschi, rovesciati. È una libertà che non libera, ma esclude. Una libertà che si afferma soltanto nel togliere agli altri: il diritto di migrare, di esprimersi, di vivere. È la libertà secondo la nuova destra populista, che si affaccia sul mondo come una caricatura tragica delle ideologie del Novecento.
In Europa si moltiplicano gli attacchi. Cresce la tensione sociale, e cresce la paura. Una paura che non viene più soltanto dagli eventi — attentati, crisi economiche, guerre — ma da una narrazione martellante che li amplifica, li distorce, li brandisce come armi ideologiche. E mentre la violenza cresce, i media minimizzano. I politici accusano. I leader sovranisti, invece, capitalizzano.
Il terrore, oggi, è diventato linguaggio. È diventato metodo.
Negli Stati Uniti, l’ex presidente Donald Trump ha inaugurato una stagione politica fondata sulla manipolazione sistematica della realtà. Ha parlato di “verità alternative”. Ha detto che i suoi comizi erano affollati anche quando non lo erano. Ha suggerito di iniettarsi candeggina contro il Covid. Ha accolto alla Casa Bianca una youtuber che teorizzava complotti meteorologici orditi dai democratici, e sulla base delle sue parole ha licenziato sei alti funzionari della sicurezza nazionale.
Non è satira. È accaduto.
La minaccia, dunque, non è solo nei fatti, ma nel modo in cui quei fatti vengono raccontati, interpretati, manipolati. Nella costruzione di una realtà parallela in cui i nemici sono ovunque e la verità è un ostacolo.
In questo scenario, la parola “libertà” viene piegata su se stessa. Non significa più ciò che ha significato per secoli — emancipazione, diritti, limiti al potere — ma qualcosa di nuovo, di inquietante: libertà di censurare, libertà di discriminare, libertà di costruire muri. La differenza rispetto alle destre liberali del passato è radicale: mentre queste ultime si battevano per la libertà “da” qualcosa (dall’oppressione, dallo Stato invasivo, dalla burocrazia), le nuove destre lottano per la libertà “di” esercitare un potere assoluto su chi è diverso, debole o straniero.
Trump vuole chiudere l’America in un recinto economico, culturale e ideologico. Una sorta di autarchia moderna, che ricorda più i progetti irrealizzabili del comunismo sovietico che il libero mercato americano. Eppure trova consensi. Fino a quando, forse, non tocca il portafoglio. Perché finché si parla di migranti, di muri, di “altro”, il popolo applaude. Ma quando si colpisce il commercio, i prezzi, la vita quotidiana — anche solo per “un dollaro di più sulla pizza” — allora il consenso vacilla. La realtà bussa, e nessuna verità alternativa può tenerla fuori.
Intanto in Europa il linguaggio di Trump ha trovato eco. Da Salvini a Meloni, da Le Pen a Orbán, si ripete il copione: i migranti fanno paura, ma sono loro a fuggire dalla paura. La libertà è sacra, ma va difesa togliendola agli altri. I media mentono, tranne quelli che confermano la nostra versione.
In questo gioco pericoloso, tutto viene ridotto a piccolezza. Il crollo delle istituzioni democratiche diventa un meme. La crisi climatica, un’invenzione ideologica. Il diritto, un ostacolo burocratico. E il cittadino, un consumatore emotivo.
La democrazia non muore in un giorno. Muore quando ci abituiamo a vederla sfigurata. Quando ridiamo delle sue parodie senza più indignarci. Quando smettiamo di chiederci dove finisce la retorica e dove comincia il rischio.
Forse oggi siamo già dentro quel momento.
E la domanda non è più: “Chi ci salverà?”.
Ma: “Chi ci dirà che c’è ancora qualcosa da salvare?”