
IL MONDO GUARDA ALTROVE E LA DESTRA ESTREMISTA AUOTORITARIA METTE PAURA ALLE POPOLAZIONI
Mentre bambini palestinesi muoiono sotto le bombe, la fame avanza come un’ombra medievale, e le migrazioni si trasformano in tragedie da statistiche tascabili, il mondo civile, democratico e ben stirato… guarda altrove. Letteralmente. Qualcuno guarda Netflix, qualcuno le elezioni europee. Ma senza esagerare.
Nel frattempo, il palcoscenico globale si riempie di nuovi volti noti: leader biondo-cenere con mascella autoritaria, donne sorridenti che citano i confini con fervore religioso, e maschi alfa versione vintage, rigorosamente col cuore tricolore, l’inno in tasca e l’indice puntato verso il basso. L’estrema destra – che un tempo usava l’elmetto – oggi si presenta col doppiopetto e la retorica da tutorial YouTube.
I leader moderati? Assenti. Forse dispersi nella “zona grigia dell’indignazione tiepida”, dove si organizza un bel convegno ogni due anni per dire: “Non bisogna generalizzare, ma qualcosa andrà fatto”. E così, mentre l’autoritarismo si rifà il look da startup, la popolazione europea si divide tra chi ha paura… e chi ha paura di aver paura.
Il mondo, intanto, continua a guardare altrove. Gaza? Troppo complesso. L’Ucraina? Era trending l’anno scorso. Il clima? “Ce ne occuperemo dopo il brunch.” E mentre Handala resta fermo, scalzo, e indignato sul bordo del nostro disinteresse, i talk show discutono se vietare o meno i croissant con marmellata di ciliegia nelle scuole per “motivi identitari”.
La destra radicale sale nei sondaggi non perché abbia risposte, ma perché urla più forte di chi cerca domande. Del resto, in un mondo dove il silenzio vale più di mille parole, l’urlo è la nuova poesia.
Il futuro? Lo immaginiamo così: popoli che invocano protezione contro le stesse persone che li stanno spaventando, governi che giurano sulla Costituzione e poi la usano come sottobicchiere, e una Terra che piange lacrime di CO₂ mentre noi aggiorniamo la bio con “libero pensatore”.
Ma tranquilli, finché c’è un influencer che fa un video commosso, un hashtag temporaneo e una vignetta da condividere, siamo salvi. Almeno finché non votiamo.