Il grande ritorno del muro… doganale!
Ovvero come salvare l’economia a colpi di dazio e nostalgia industriale
C’era una volta un’America potente, fiera e produttiva, dove le fabbriche sputavano acciaio come draghi patriottici e i jeans si facevano con il sudore del Midwest, non con il risparmio asiatico. Poi arrivò la globalizzazione, con le sue offerte 3×2 e il temibile “Made in China”, e tutto cambiò: gli operai diventarono rider, le fabbriche si trasformarono in loft, e l’unica cosa prodotta in patria era l’indignazione.
Ma ecco che dal cielo, in un tripudio di cravatte rosse e tweet impulsivi, scese lui: il Protettore Supremo del Prodotto Nazionale, l’uomo che avrebbe reso grande di nuovo non solo l’America, ma anche i dazi, i confini e i magazzini pieni di frigoriferi patriottici. Donald Trump. Il Robin Hood delle tariffe, che toglieva alle multinazionali per ridare… alle multinazionali con sede in Ohio.
La strategia? Semplice. Imporre dazi sui prodotti stranieri per convincere le aziende a tornare in patria. Un po’ come aumentare il prezzo dei voli internazionali sperando che la gente torni a farsi le vacanze a Pomezia. Geniale. E chi se ne frega se poi l’iPhone costa come un rene — almeno il rene è americano.
Il concetto chiave è chiaro: meglio un bullone yankee arrugginito che un dispositivo elettronico perfetto ma cinese. E se la signora Maria al mercatino dovrà spendere 150€ invece di 15 per un paio di jeans, che sia! Almeno quei jeans saranno imbevuti di libertà, bandiere e disoccupazione riconvertita.
I critici, si sa, non capiscono il genio. Parlano di “rischi di guerra commerciale”, “inflazione”, “isolamento economico”. Ma sono gli stessi che pensano che il protezionismo sia roba del passato. In realtà, è il futuro! Basta rispolverarlo con un po’ di retorica, due slogan e qualche minaccia velata alla Germania.
In conclusione, l’America protezionista è un po’ come un vecchio rockettaro che vuole rimettere insieme la band, ma senza sapere che il chitarrista ora vive in Vietnam, il batterista lavora per Amazon, e il bassista è un algoritmo. Ma non importa: con un bel dazio e tanta nostalgia, tutto tornerà come prima. O almeno ci divertiremo a guardare il tentativo.