Donald Trump, l’oracolo dei disastri: un’America che si specchia nel suo delirio
Tutti, ma proprio tutti, appesi ogni giorno alle labbra di Donald Trump. L’uomo spara una boiata al giorno — a volte due, se ha dormito bene — e il circo mediatico si fionda, sbava, rilancia. È il gioco del cane che rincorre la macchina: non sa perché, ma non riesce a farne a meno.
Eppure, se togli il rumore di fondo e guardi bene, una cosa emerge chiaramente da questi mesi: prevedere Trump è inutile. Non perché sia geniale. Perché è illogico. Le sue diagnosi, tutto sommato, sono quelle che farebbe anche un taxista sobrio: l’economia americana è devastata, la classe media è evaporata, la globalizzazione ha fatto terra bruciata. Grazie, Donald. Applausi.
Il problema non è quello che vede, è come crede di risolverlo. Le sue “soluzioni” sono una collezione di improvvisazioni da bar di provincia. I dazzi? Mah. Forse nel 1848 avrebbero avuto un senso. Oggi sembrano un tentativo disperato di mettere le dita nei buchi dello scafo mentre la nave affonda.
E il suo vice, Vance? Trattato come un troglodita sui media liberal, ha scritto un libro diventato film, Hillbilly Elegy, che racconta il collasso culturale e materiale di un’America interna, bianca, disillusa, drogata — e dimenticata. La stessa America che, per intenderci, Trump cavalca come uno stregone da luna park, fingendo di capirla mentre le vende pentole arrugginite con lo sguardo di chi ha fiutato il business.
Poi c’è l’Ucraina. Siamo ancora lì a raccontarci che può vincere, mentre Trump — rozzo, brutale, ma almeno sincero — dice che no, la guerra è persa. Non è diplomazia, non è geopolitica raffinata: è uno che dice a voce alta quello che in molti pensano in silenzio. Male? Forse. Ma più onesto di certe barzellette da comunicato stampa NATO.
Immigrazione? Altro problema gigantesco. Le città americane affogano nel caos, nelle tende, nella disperazione. Trump propone catene, muri, manganelli. Roba che fa orrore. Ma l’alternativa sarebbe…? Il silenzio colpevole dei centristi moralisti che parlano di accoglienza mentre vivono in quartieri blindati.
Il punto è sempre quello: i problemi ci sono, si vedono a occhio nudo. Le risposte di Trump sono rozze, spesso vergognose, ma sono risposte. La sinistra liberal? Fa le smorfie. Mentre le città bruciano, loro stanno ancora litigando sull’uso corretto dei pronomi.
E i nostri opinionisti da salotto? Inviperiti, sdegnati, offesi. Lo chiamano fascista, idiota, criminale. Si esaltano davanti alle telecamere come se stessero salvando il mondo. Ma la verità è che fare la guerra trampa parole nei talk show non costa nulla. Non cambia nulla. È solo autocompiacimento.
Forse sarebbe ora di smettere di insultarlo e iniziare a capire perché ha vinto. E perché, con ogni probabilità, potrebbe vincere ancora. Perché quelli che votano Trump non sono alieni. Sono gli stessi che votarono Biden. E prima ancora Obama.
Chi non capisce questo, chi continua a vivere in una bolla moralista e ideologica, è destinato a svegliarsi ogni quattro anni con l’incubo Trump nel letto. E a quel punto, l’unica bambolina voodoo che servirà… sarà la propria.