“Il Santo Ipocrita: Cronache dal Regno del Doppio Standard” Nel reame immaginario di Israbal, regna incontrastato il sovrano Netaniux, noto per la sua armatura scintillante decorata con simboli sacri e la sua inconfondibile abitudine di guardare verso il cielo… con la lingua di fuori. Netaniux, autoproclamato salvatore del popolo e custode della giustizia, appare ogni giorno in diretta olografica per proclamare pace, civiltà e “diritti umani selettivi”—cioè solo per quelli dalla parte giusta del muro. Il suo volto è sempre incorniciato da un’aureola digitale, programmata per accendersi ogni volta che pronuncia le parole “democrazia” o “difesa legittima”. Nel frattempo, oltre la barriera, nella terra dimenticata di Palestinia, milioni di cittadini sopravvivono con una razione al giorno: sabbia, silenzio e sirene. Le scorte umanitarie vengono deviate, i bambini crescono con l’eco dei droni, e le medicine sono un mito come l’unicorno di deserto. Quando i cronisti di altri regni osano chiedere conto di questa “leggera incoerenza”, Netaniux alza gli occhi al cielo, fa finta di non sentire e mostra la lingua, come a dire: “Se non vi piace, parlate col muro”. Il consiglio reale, composto da invisibili lobbisti e oratori esperti, continua a lodare l’illuminata condotta del sovrano, e ogni critica viene etichettata come eresia. Il popolo? Diviso tra chi ha smesso di guardare e chi ha smesso di mangiare. Ma guai a parlarne. In fondo, nel regno di Netaniux, la verità è solo una questione di… prospettiva.
ESSERCI O NON ESSERCI … TEATRO PUTIN
ESSERCI O NON ESSERCI Teatro dell’assurdo: Putin regista, Trump attore, Zelensky comparsa Nel grande teatro della geopolitica, lo spettacolo continua. Sipario aperto sulla tragedia ucraina, ma gli attori in scena sembrano usciti da un casting per commedia dell’assurdo. Vladimir Vladimirovič Putin, il regista impassibile, non combatte una guerra: gira un film. Titolo provvisorio? “Aspettando il Generale Inverno”. Traccheggia, tergiversa, sposta soldatini e telecamere, ma il copione è chiaro: prendere tempo, confondere, annoiare il pubblico. Intanto gli altri si agitano, gridano, twittano. Lui sorride, guarda l’orologio, versa un tè. Donald Trump, invece, è tornato. Il comico involontario, che si crede tragico eroe, è pronto a riscrivere la storia a colpi di CAPS LOCK. “Se fossi stato io, Putin non avrebbe mai invaso!”, tuona. Certo. Perché tra due narcisisti alfa, uno lascia sempre il posto all’altro. Una guerra tra specchi e parrucchini, mentre l’Ucraina brucia. Zelensky, l’ex attore diventato presidente, è rimasto prigioniero del suo ruolo. Doveva essere il Churchill del Dnipro, e invece pare finito in una stagione infinita di Servitore del Popolo, ma senza copione. Gira per capitali, raccoglie applausi e fondi, ma intanto il fronte si consuma e l’Europa sbadiglia. Ha scoperto che nel mondo reale, quando gridi “aiuto!”, ti rispondono con una mail automatica: “Grazie per il suo messaggio, le risponderemo appena possibile.” E l’Occidente? Fa quello che sa fare meglio: tavole rotonde, conferenze, dichiarazioni ferme e indignate. Ogni bomba russa su Kharkiv è seguita da un tweet francese, un comunicato tedesco, una riunione d’urgenza a Bruxelles e proclami propagandistici della Meloni agli italiani. I missili cadono più veloci dei verbali. Nel frattempo, il mondo guarda. Stanco, anestetizzato, occupato con l’ennesimo iPhone e la quarta stagione di una serie su Netflix in cui anche lì c’è la guerra, ma almeno con la colonna sonora di Hans Zimmer. Putin lo sa. È questo il vero arsenale nucleare: l’indifferenza globale mascherata da civiltà, l’estetica della pace mentre si comprano armi come se fossero snack. E lui, come un vecchio attore di teatro russo, sa aspettare. Sa prendere tempo. Sa prendersi gioco. Essere o non essere? Ma chi se ne frega. L’importante è rimanere in scena, finché gli altri si affannano a ricordarsi la parte.
“Meloni confusa sullo Spread: il giorno in cui l’Italia superò la Germania… su Marte”
“Meloni confusa sullo Spread: il giorno in cui l’Italia superò la Germania… su Marte” ROMA – Aula della Camera, atmosfera tesa, i riflettori puntati sulla Premier Giorgia Meloni, che prende la parola con la sicurezza di chi ha appena scoperto che lo spread è sotto i 100 punti base. L’Italia, annuncia con orgoglio, è più sicura della Germania. Il pubblico applaude. I titoli di Stato tedeschi, invece, chiedono un bicchiere d’acqua e un ansiolitico. “Signori, lo spread è sotto i cento. Questo significa che i nostri BTP sono più affidabili dei Bund tedeschi!” proclama Meloni, tra uno sguardo smarrito dell’Aula e la smorfia impietrita del ministro Giorgetti, il quale, secondo testimoni oculari, ha emesso un sibilo che sembrava dire: “Santa BCE, salvaci tu”. Il Fantaspread Per chiarire: lo spread è la differenza tra i rendimenti dei titoli italiani e quelli tedeschi. Meno è alto, meno sembriamo sull’orlo del baratro finanziario. Ma da qui a dire che siamo “più sicuri” della Germania, ce ne passa. Tipo dal Vangelo secondo Mario Draghi a quello secondo Topolino. Secondo indiscrezioni trapelate da Palazzo Chigi, la Premier avrebbe scoperto l’arcano del fantaspread durante una visione mistica provocata dall’eccessivo uso del Teleprompter. “Era tutto chiaro,” avrebbe dichiarato in privato, “se i nostri interessi sono quasi come quelli tedeschi, allora noi valiamo più della Merkel, di Beethoven e della birra insieme!” La reazione del governo Giorgetti, dopo la dichiarazione, ha consultato freneticamente il manuale “Economia per chi ha vinto il liceo classico”, alla voce ‘spread, non spredino da bar’. La sua espressione ricordava quella di un professore di matematica costretto ad assistere a un dibattito tra numerologi e terrapiattisti. Nel frattempo, Elly Schlein ha preso la parola per ricordare che “la sicurezza economica non si misura con il righello della propaganda”, mentre Giuseppe Conte ha chiesto il minuto di silenzio per il buon senso economico. L’unico a cavalcare l’onda della logica alternativa è stato Salvini, che ha proposto di dichiarare guerra alla Germania “tanto ormai li abbiamo superati, no?” Conclusione Dunque, mentre il mondo finanziario osserva perplesso, Meloni riscrive la macroeconomia italiana come se fosse un fantasy di serie B: “Lo spread calò sotto i cento punti, e l’Italia divenne regina dell’affidabilità, cavalcando un BTP dorato sopra le ceneri del Bund sconfitto”. E mentre i mercati tirano un sospiro (ma più per pena che per fiducia), gli italiani aspettano il prossimo colpo di scena. Magari quando il PIL salirà grazie alle vendite di magliette con su scritto “Italia: più sicura della Germania. Lo ha detto la Premier.” Prossimo episodio: “Giorgia e il deficit che non c’era – cronache da un universo parallelo”
“Caro Diario, oggi ho salvato il mondo… con 110 tonnellate di biscotti”
“Caro Diario, oggi ho salvato il mondo… con 110 tonnellate di biscotti” Roma – Palazzo Chigi. La Presidente è stanca, ma fiera. Ha appena finito di raccontare in aula il suo impegno “umanitario” in Medio Oriente: elicotteri, biscotti, Sky Hope, Food for Gaza. Ha detto tutto, tranne una cosa: che a Gaza stanno massacrando dei bambini. Ma chi se ne accorge, dopotutto? 18.000 bambini morti non fanno rumore quanto un container di tonno Rio Mare spedito col tricolore. Nel frattempo, Mohammed (12 anni, testimone oculare di un’esecuzione, ora anche lui giustiziato) non ha ricevuto né tonno, né biscotti, né speranza. Ma Giorgia sì, lei sì che ha fatto la sua parte: ha espresso “profonda preoccupazione” — non si sa se per Gaza o per le prossime elezioni europee. Dall’altra parte del Mediterraneo, Netanyahu prende appunti: “Quindi, se bombardo ospedali, scuole e rifugi, e poi dico che combatto il terrorismo… loro mi mandano biscotti? Che dolcezza!”. Israele sorride. Hamas pure: più morti, più estremismo, più potere. E i bambini? Restano polvere. E non fanno rumore. Ma torniamo alla civiltà. Qui in Italia la diplomazia è arte sottile. Se la Russia invade, scattano sanzioni. Se Israele rade al suolo un’intera popolazione, scattano… pirofile di pasta al forno e un ponte aereo con nome poetico: Sky Hope. C’è da commuoversi. Qualcuno (Bonelli, ad esempio) osa dire: “Vergogna!”. Ma è così volgare, vero? Non si fa. Il dolore si confeziona meglio nei comunicati stampa. In fondo, il vero nemico della pace, oggi, è chi disturba la digestione morale dell’Occidente con dati crudi: 60.000 morti. 18.000 bambini. Corpi nei sacchi. Occhi sbarrati. Ma per fortuna ci sono le brave madri di governo che non condannano, che mantengono il sangue freddo. Anche quando scorre per le strade di Rafah. Giorgia, tu che sei madre, dormi tranquilla. L’hai detto tu: non c’è spazio per Hamas nello Stato Palestinese. Giusto. E nemmeno per i bambini, ormai.
TRUMP TRA DAZI E TRANS: L’AMERICA PRIMA, IL RESTO IN DOGANA
📰 TRUMP TRA DAZI E TRANS: L’AMERICA PRIMA, IL RESTO IN DOGANA di Testa di Carta Con un colpo solo, Donald Trump ha deciso di sistemare due questioni che lo ossessionano da anni: le importazioni dalla Cina e le trasformazioni negli spogliatoi. Perché nella mente dell’ex presidente, tutto si divide in categorie: maschio o femmina, dentro o fuori, americano o da tassare. “Se un camion pieno di acciaio cinese può dichiararsi alluminio fluido, allora io voglio sapere cosa succede anche nei bagni pubblici! E pagare il 20% in più!” ha dichiarato durante un comizio tenuto dentro un outlet chiuso per eccesso di patriottismo. 🔧 Dazi, transizioni e transessuali La nuova proposta, battezzata “Tariff and Transition Act”, prevede che ogni prodotto estero venga identificato non solo per origine e materiale, ma anche per genere percepito: 🏛️ La dogana come confessionale Trump ha anche proposto di ristrutturare i punti di frontiera americani in stile talk show anni ’80: “Vogliamo sapere da dove vieni, cosa sei e se ti identifichi come libero scambista o protezionista. E se sei fluido… ci serve anche un campione d’urina!” Nel frattempo, i funzionari doganali sono stati dotati di un nuovo modulo: “Importazione o transizione? Barrare una sola opzione.” 🧠 Esperti nel panico Gli economisti tentano invano di spiegare che i dazi colpiscono le imprese, non l’identità di genere. Ma Trump ribatte: “Se una Barbie può diventare Ken, allora anche il mio SUV può diventare americano. Basta dirglielo!” 📦 In arrivo: il pacco fluido Amazon ha reagito subito: ha introdotto l’opzione “gender neutral packaging”, scatole che si montano da sole senza sapere se con o senza scotch. ✉️ Conclusione: Trump continua la sua battaglia per un’America più forte, più ricca, e soprattutto più confusa. Con lui, ogni dazio è identitario e ogni identità è da tassare. L’unica transizione che riconosce è quella dei poteri… quando torna lui.
“Putin, Trump, Zelensky e il Santo Rasoio della Pace”… a Che Tempo Che Fa !
“Putin, Trump, Zelensky e il Santo Rasoio della Pace” Editoriale da una redazione che usa il dopobarba come fonte diplomatica. di Testa di Carta Nel giorno in cui la geopolitica si affida più alla retorica da barbiere che alla diplomazia da salotto, il mondo assiste all’ennesimo miracolo della comunicazione a specchio: Putin propone un incontro, Zelensky accetta, Trump approva entrambi, e l’unica tregua vera è quella tra le sue due sinapsi. Tra una stretta di mano e una rasatura sbagliata (pare che anche Scavo di Avvenire sia rimasto vittima della lama), si apre il salone della pace: a Istanbul, la capitale mondiale dei trapianti di speranza, dovrebbe svolgersi il vertice che nessuno osa definire “storico” per scaramanzia e per paura di essere citato da Bruno Vespa. Il copione è già noto. Zelensky chiede: “Vediamoci, ma smetti di sparare.” Putin risponde: “Vediamoci, ma lasciami sparare ancora un po’.” Trump, in un raro momento di zen confusionale, dice: “Hanno entrambi ragione. E anche il mio golf club in Florida.” Siamo ufficialmente nel multiverso dei compromessi: geopolitica quantistica. Intanto in Europa succede l’incredibile: i “volenterosi” si svegliano. Macron trova un treno per Kiev che non è in ritardo, Merz trova il coraggio di sembrare autorevole per più di 12 minuti, Tusk trova la Polonia e Starmer trova finalmente un posto a tavola. Il Regno Unito ritorna al continente ma senza passare dalla dogana: miracolo da prima pagina! E l’Italia? Assente giustificata. Come uno studente al quinto richiamo, Giorgia Meloni non compare nella foto ufficiale “Trump, Zelensky & Friends”. Pare fosse impegnata a scegliere tra Simeon e Simenon, ma confusa tra geopolitica e gialli, ha finito col leggere Maigret a Mosca. Qualcuno ha parlato di “diplomazia della sedia vuota”. In realtà è più la “diplomazia della sedia pieghevole”: comoda, trasportabile, ma ti si richiude addosso se non stai attento. Nel frattempo, Erdogan si propone come mediatore, nonostante Putin si fidi di lui come di un barbiere con il tremore essenziale. Eppure la partita si gioca: tra Siria, Libia e Black Friday delle sanzioni, il Mediterraneo torna a essere il luogo dove si affonda tutto: migranti, credibilità e a volte anche la logica. Conclusione? Zelensky gioca a poker con le bombe, Putin a Risiko senza dadi, Trump a scacchi 3D su una tavola da ping-pong. L’Europa, che era caduta nel burrone del disinteresse, ha messo i ramponi. E l’Italia? L’Italia ha mandato un biglietto: “Torno subito. Non iniziate senza di me.”
Sua Santità ” TESTA DI CARTA ” Donald I, Vescovo di Mar-a-Lago
Sua Santità ” TESTA DI CARTA ” Donald I, Vescovo di Mar-a-Lago Nel vasto pantheon delle divinità moderne, tra influencer divinizzati e CEO con complessi messianici, spicca una nuova figura teologica: Donald I, Sommo Pontefice dell’Ego, Supremo Mediatore tra il Popolo e il Teleprompter, ritratto in questa recente e mirabile opera d’arte che mescola Rinascimento e reality show con la grazia di un elefante in conclave. Seduto su un trono degno di un antipapa in diretta su Fox News, Sua Eccellenza indossa paramenti pontifici, impreziositi non da croci o santi, ma dall’aquila imperiale americana — l’unico simbolo veramente sacro rimasto, specialmente se stampato su carta da cento dollari. Sul capo, la tiara tradizionale è sostituita da un copricapo degno dei migliori parrocchiani della sezione bricolage di Home Depot: un cappello fatto con un quotidiano piegato. Probabilmente il New York Times, per garantire che ogni piega grondi di risentimento. La mano destra, elevata in gesto benedicente secondo il rito del “vaffatore solenne”, è smaltata di rosso come tradizione comanda nei riti del culto dell’Io. Un gesto che alcuni esegeti interpretano come una nuova forma di indulgenza plenaria, purché ritwittata almeno mille volte. Le labbra, truccate con cura, ricordano che in questa chiesa non c’è spazio per l’umiltà: ogni poro è una dichiarazione, ogni espressione una liturgia narcisistica. Ma non cadiamo nel banale. Non si tratta solo di un fotomontaggio, né semplicemente di un atto di scherno: Pontifex Maximus Trumpensis è una parabola visiva sul nostro tempo. Il confine tra sacro e profano è ormai sfumato come un filtro Instagram, e questa immagine ci sbatte in faccia la nuova religione: il Potere come spettacolo, l’Autorità come branding, la Mistica come merchandising. L’autore, probabilmente un apostata di Photoshop o un discepolo eretico di Caravaggio, ci invita a contemplare una società dove il culto della personalità ha sostituito ogni dottrina. E che personalità! Immaginate Lutero che, invece di affiggere le sue tesi a Wittenberg, le carica su TikTok col sottofondo di Kid Rock. A metà tra un’icona ortodossa e una locandina di The Apprentice: Vatican Edition, l’opera solleva interrogativi fondamentali: se il potere si veste da Papa e si trucca da star, cosa resta del potere? E soprattutto: dove si compra quel medaglione presidenziale così kitsch? (Spoiler: probabile replica su Etsy.) In conclusione, Sua Santità Donald I è un capolavoro della satira visiva: una tela che riesce ad essere al tempo stesso una reliquia, una caricatura e una profezia. Ridiamo, sì — ma con un retrogusto amaro. Perché in fondo, ogni imperatore che si traveste da papa ci ricorda che il confine tra potere assoluto e farsa assoluta è sempre più labile. E che forse, come diceva quel tale con la barba, “la storia si ripete due volte: la prima come tragedia, la seconda come reality show”.
Nel nome del Ponte, del Paradosso e dello Spirito Santo
NEL NOME DEL PONTE, DEL PARADOSSO E DELLO SPIRITO SANTO Pare che il nuovo Papa abbia scelto il nome Leone XIV. I maligni hanno subito pensato a un leone da tastiera, ma a vederlo bene – mentre stringe mani, parla di giustizia sociale e guarda con occhi veri i bambini denutriti – sembra piuttosto un felino che, invece di ruggire dal balcone, graffia nel silenzio. A differenza del suo predecessore argentino, più incline alla metafora calcistica e all’intervento leggero, Leone XIV viene dalle Ande, dove l’ingiustizia non è un concetto, ma una scodella vuota. Ha visto i bambini fare mattoni d’argilla a mani nude, mentre la “teologia della prosperità” spiegava loro che erano poveri perché se lo meritavano. Sarà per questo che il nuovo pontefice, appena eletto, ha dichiarato: “Costruiremo ponti”. Naturalmente non si riferiva a quello sullo Stretto, anche se pare che Salvini abbia già presentato un plastico a Piazza San Pietro. Perché si sa: il Ponte è la grande opera che collega Messina al paradiso fiscale. Gaza e la geopolitica secondo l’Avvento Nel frattempo, a Gaza piovono aiuti e missili con la stessa disinvoltura, spesso dallo stesso cielo. I paracaduti umanitari si aprono a metà, la fame si apre tutta. L’Occidente osserva, misura i morti e poi li arrotonda. In Italia, invece, Giorgia Meloni tace. Il silenzio, si sa, è d’oro – specie se dollari. Nessuno vuole inimicarsi Washington o Tel Aviv. Ma forse sarebbe il caso di smettere di usare la politica estera come servizio clienti per la NATO: “digita 1 per la pace, 2 per l’embargo, 3 per la dichiarazione preoccupata”. Il pacemaker di Mattarella e il batticuore repubblicano Nel frattempo, all’interno del Quirinale è successo un fatto terribile: Mattarella ha avuto un pacemaker. Nulla di grave, ma per qualche ora la Presidenza della Repubblica è stata di fatto in mano a Ignazio La Russa. Fonti riservate raccontano che il Colle abbia attivato il silenziatore costituzionale per evitare che gli italiani, già depressi dall’astensione, avessero un collasso collettivo. Immaginate: uno Stato guidato per un pomeriggio da un signore che invita pubblicamente gli italiani a non votare, mentre indossa una fascia tricolore sopra un giubbotto di pelle vintage. E ora? L’Onu parla di 60.000 morti a Gaza, mentre il dibattito pubblico italiano è ancora fermo a decidere se è più virile votare o astenersi. In tutto questo, Trump, che intanto studia come costruire grattacieli tra le macerie di Rafah, viene definito ancora “l’uomo forte” da chi si definisce “moderato”. Nel dubbio, noi aspettiamo Leone XIV. Che, con ogni probabilità, non cambierà il mondo. Ma almeno, mentre lo guarda andare a fuoco, non chiederà se il fuoco è legale.
MELONI CONTINUA A FARE IL GIOCO DELLE TRE CARTE CON GLI ITALIANI
MELONI CONTINUA A FARE IL GIOCO DELLE TRE CARTE CON GLI ITALIANI … MENTRE IL CARRELLO DELLA SPESA SEMPRE PIÙ VUOTO ! Nel teatrino della politica italiana, Giorgia Meloni si muove come un’abile giocatrice del gioco delle tre carte. Il banco è il suo governo, il tavolo è il Paese, e le carte – quelle che sposta con destrezza – sono le promesse elettorali, le dichiarazioni altisonanti, e le manovre che sembrano sempre risolvere tutto, ma in realtà non centrano mai il punto. Durante la campagna elettorale, Meloni si è presentata come la voce della chiarezza, della verità, della rottura con il vecchio sistema. Ma a distanza di tempo, molti italiani iniziano a chiedersi dove sia finita la pallina sotto il bicchierino: dov’è la coerenza con i proclami sulla sovranità energetica, sull’Europa matrigna, sul blocco navale per fermare i migranti? In molti casi, le politiche del governo si sono rivelate dei giri di parole, dei cambi di posizione, dei compromessi che sanno tanto di vecchia politica – proprio quella che si voleva combattere. Il gioco delle tre carte funziona perché chi guarda è convinto di poter indovinare, di vedere dove va a finire la verità. Ma nel frattempo, mentre l’attenzione è rapita dal movimento veloce delle mani, il potere si consolida, le disuguaglianze aumentano, e i problemi reali – sanità, lavoro, scuola – restano sullo sfondo. Non si tratta di un’accusa personale, ma di una dinamica ben collaudata: il populismo funziona bene quando promette tutto, ma si inceppa quando deve fare i conti con la realtà. E allora si cambia discorso, si cerca un nemico – l’Europa, i migranti, i giudici, i giornalisti – e si rimette in moto il tavolo, con nuove carte, nuovi slogan. Il problema è che il pubblico – noi cittadini – non può restare spettatore passivo. Ogni gioco, per funzionare, ha bisogno di qualcuno che ci creda. Forse è tempo di smettere di inseguire la carta giusta, e iniziare a chiedere il conto del mazzo
Il riarmo della Germania? È solo la nuova collezione primavera-estate: carri armati e mimetiche haute couture
Pare che il futuro dell’Europa non sia fatto di ricerca, scuola o sanità, ma di carri armati con inserti in fibra di carbonio e missili biodegradabili. A suggerircelo è Giuseppe Conte, ex premier, oggi filosofo pentastellato dell’equilibrio geopolitico e dell’asimmetria economico-militare. Intervistato, ha lanciato un modesto appello al buonsenso europeo, rivolgendosi direttamente a Merz, leader tedesco che pare intenzionato a trasformare la Germania da locomotiva economica a cingolato blindato continentale. “Caro Merz,” dice Conte, “voi avete imposto l’austerità a noi italiani per anni e poi, in una notte di luna piena, cambiate la Costituzione e stanzionate mille miliardi per il riarmo. Che fate, riconvertite la Volkswagen in fabbrica di panzer elettrici? Ma almeno mettete il bonus rottamazione per i Leopard usati!” Conte, giurista ma anche spirito guida della moderazione strategica, si preoccupa: “Sì, certo, serve la deterrenza, ma qui stiamo passando dal deterrente all’economia di guerra come se fosse una dieta detox. E poi — domanda retorica che gela lo studio — cosa succede se l’AfD, dati al 26%, arriva al governo e si ritrova a gestire questa superpotenza armata fino ai denti? Un piccolo déjà vu weimariano…” Nel frattempo, in Italia, la Meloni — accusata di aver firmato qualsiasi cosa le abbiano messo davanti a Bruxelles purché avesse una bandierina e la parola “sovranità” — si ritrova con i dati Istat che parlano chiaro: consumi giù, economia giù, perfino il morale del carrello della spesa giù. Conte, che rifiuta le etichette di “antimilitarista”, propone un’altra visione per l’Europa: un continente che investa in scuole, ricerca, lavoro. Insomma, una potenza educativa, non esplosiva. Ma l’Europa sembra più orientata verso la strategia del “pugno di ferro con guanto di ghisa”. Mentre Berlino punta ai caccia stealth, Roma si accontenterebbe di un carrello pieno e una Costituzione ancora intatta.