Rai … Al Servizio Privato Del Governo, “Si Contenghino I Giornalisti !” Come Disse Un Famoso Politico.

C’è un nuovo reality show in onda alla Rai. Non si chiama “L’Isola dei Famosi”, ma “L’Archivio dei Giornalisti”. Regole semplici: ogni filmato girato da un autore RAI — anche quelli che toccano i nervi scoperti del potere — va consegnato al produttore, pardon, all’editore, anzi no: al governo.

Benvenuti nel Grande Fratello dell’informazione pubblica. Un reality senza nomination, perché tanto l’unico eliminato è il giornalismo.

Sigfrido Ranucci, volto storico di Report, l’ha detto senza giri di parole: “È la fase più buia della Rai in 35 anni.”

Ed è difficile dargli torto. Una circolare dell’amministratore delegato (nominato dal governo, per chi si fosse distratto) obbliga alla “tracciabilità dei filmati”, vale a dire: “tu girali pure, poi ce li guardiamo noi”. Non si tratta di gestione d’archivio. È sorveglianza redazionale.

Altro che vigilanza pluralista. Siamo alla pre-produzione ideologica.

L’informazione sotto tutela (del potere)

Siamo al paradosso: la Rai — servizio pubblico — vuole l’accesso illimitato a tutto ciò che viene girato, comprese le fonti, le inchieste, i materiali grezzi. Non lo chiede un giudice. Lo chiede l’azienda. E l’azienda, come ormai è chiaro, risponde politicamente.

Vogliamo essere chiari?

Questa è una minaccia diretta al principio costituzionale della libertà di stampa.

Una pistola formale puntata alla tempia dell’autonomia giornalistica.

Il problema non è solo legale. È culturale, etico, editoriale. È un cambio di paradigma: dal giornalismo come strumento di controllo del potere, al giornalismo controllato dal potere stesso.

 Ossessione? No, dovere.

C’è chi accusa Report di essere “ossessivo” verso il governo, e in particolare verso Giorgia Meloni.

Bene. Domanda: quale altra funzione ha il giornalismo d’inchiesta, se non disturbare il potere?

Un giornalismo che non disturba non è imparziale, è inutile.

E chi parla di “ossessione” confonde l’inchiesta con l’insinuazione, il rigore con il livore, la vigilanza con la vendetta.

Che poi, detta tra noi: se le inchieste fanno male, il problema non è chi le fa. È chi le subisce.

Giornalismo sotto processo (anzi, no)

Ranucci lo dice chiaramente: “Le accuse di manipolazione? Archiviate. Sempre.”

Perché i giornalisti, a differenza di certi politici, vanno davanti ai giudici. E vincono.

E allora, cosa resta?

La narrazione tossica. La delegittimazione sistematica. La solita macchietta del “giornalista ideologico” contrapposto al potere “sobrio e trasparente”.

Peccato che sia una bufala.

E che questa bufala stia diventando strategia di comunicazione istituzionale.

La Rai come proprietà privata (dello Stato)

La verità è che la RAI oggi non è più un servizio pubblico, ma un asset di governo.

Un’azienda editoriale a partecipazione politica diretta. Con un amministratore delegato scelto dall’esecutivo, e con telegiornali sempre più indistinguibili dai comunicati stampa ministeriali.

A chi giova questa trasformazione? A chi vorrebbe un Paese dove il pluralismo si pratica solo in campagna elettorale, e il resto del tempo si obbedisce.

A chi vuole che i giornalisti smettano di cercare la verità e inizino a raccontare una versione autorizzata dei fatti.


❗ Una domanda per tutti

Chi sarà il prossimo?

Chi sarà il prossimo autore, regista, cronista o freelance che dovrà consegnare i propri appunti, i propri contatti, i propri materiali, solo perché ha avuto l’ardire di raccontare qualcosa che disturbava?

E soprattutto: chi avrà ancora il coraggio di parlare, se sa che il girato finirà in mano a chi dovrebbe essere oggetto dell’inchiesta?

Questo non è solo un attacco al giornalismo.

È un attacco all’idea stessa di democrazia.

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