
Manifestare per l’Europa dei diritti, soprattutto. Direi che, in qualche modo, c’erano anche tanti manifesti di Ventotene. No, mi sembra di vedere che Roberto Benigni, ieri sera, abbia rimesso un po’ di cose a posto. Che dice Michele?
Beh, Roberto Benigni ha fatto l’artista, che è la cosa che gli riesce meglio, e ha tenuto una lunga “protezione civile”. Incredibile il fatto che quasi 5 milioni di persone siano rimaste ad ascoltare un monologo non semplice, in certi passaggi anche abbastanza ostico. Quindi vuol dire che le persone hanno bisogno di sentirsi raccontare un po’ di cose. E soprattutto ha rimesso in ordine alcune sequenze storiche. Ha detto che il Manifesto di Ventotene è la matrice, il seme fondamentale dell’idea federalista europea. In quegli anni, i principi fondanti dell’Europa sono stati l’antifascismo e l’antinazionalismo, e quindi è del tutto scontato che la Presidente del Consiglio non si riconosca nel Manifesto di Ventotene. Mi stupirebbe il contrario.
Ho trovato un po’ eccessiva l’emotività della reazione di parte dell’opposizione, ma bisognava semplicemente prenderne atto e dirle: “Presidente, non ci stupisce affatto che lei non sia favorevole al federalismo europeo e ai valori fondamentali dell’Europa, che sono gli stessi della Costituzione italiana”.
Quindi dici che c’è una connessione tra il fatto che lei non si dichiari antifascista e il suo rifiuto del Manifesto di Ventotene? Io ho sempre pensato che non abbia senso chiederle di dichiararsi antifascista, perché semplicemente non lo è. Bisogna essere lucidi rispetto a una situazione che è sicuramente preoccupante, come dice Renata Colorni, ma questa è la realtà.
Però c’è una questione, Michele: una cosa è dire “A me non piace il Manifesto di Ventotene, sono per i nazionalismi”, altra cosa è farne una battaglia politica e portare questa discussione alla Camera dei Deputati, fuori contesto. Perché lo ha fatto, secondo te? Forse per buttarla in caciara e nascondere, in mezzo alle polemiche, il fatto che la sua maggioranza di governo non abbia una politica europea chiara. Un terzo è con Salvini, che è filo-putiniano—ce lo ricordiamo tutti con il colbacco. Un terzo è con Forza Italia, che si dichiara europeista. Il restante terzo è sospeso tra le esigenze di Trump e quelle dell’Europa, che al momento non coincidono affatto.
È un pasticcio, ma bisogna riconoscere che la destra ha un’abilità straordinaria nel nascondere le proprie divisioni, mentre la sinistra ha un’abilità straordinaria nel mostrarle.
Senti, veniamo alla piazza. È una piazza che mi ha colpito molto e che è stata attaccata sia da destra che da sinistra. Secondo alcuni, era una piazza “guerrafondaia”, piena di gente che chiedeva bombe e missili. Secondo altri, era una piazza timida, che non ha colto l’occasione per insorgere contro Trump e Putin. In genere, quando prendi critiche da entrambe le parti, vuol dire che hai fatto qualcosa di giusto, no?
Sì, però ci sono alcune questioni di cui vale la pena parlare. Le polemiche sul Comune di Roma, ad esempio, sono stravaganti. Non solo il Comune ha finanziato la manifestazione, ma l’ha proprio indetta e organizzata, insieme a 12 sindaci di grandi città italiane. In piazza c’erano 400 sindaci. Era una manifestazione dei sindaci italiani in favore di un’Europa dei cittadini. Non c’era un solo simbolo di partito, né ha parlato un solo esponente politico sul palco.
L’altra polemica, quella della “piazza pagata da John Elkann”, è un’offesa gratuita.
E la questione della “piazza guerrafondaia”? È evidente che il dibattito su guerra e pace sia aperto. In piazza c’erano sicuramente posizioni diverse, ma l’unico vero difetto di quella manifestazione è che è arrivata con trent’anni di ritardo.
Perché dico trent’anni? Perché già durante la guerra nei Balcani ci si chiedeva: dov’è l’Europa? Perché non interviene per fermare il massacro etnico? Alex Langer, uno dei padri del pacifismo europeo, diceva: “A Sarajevo l’Europa o rinasce o muore”. Alla fine, l’Europa è morta. E Langer, pochi mesi dopo, si è tolto la vita, sopraffatto dal disonore della democrazia europea.
La piazza romana è ripartita esattamente da lì, con trent’anni di ritardo. Se crediamo nei valori europei—giustizia, pace, Stato sociale, libertà, diritti—dobbiamo dar loro una forma concreta.
Michele, veniamo al nodo centrale: l’Europa discute di inviare armi all’Ucraina, mentre Putin e Trump negoziano una pace che dovrà soddisfare Putin e Trump, ma non si sa quanto gli ucraini. È anacronistico mandare armi proprio ora?
Io la vedo così: forse è anacronistico mandarle adesso, ma è stato decisivo farlo fino ad ora, altrimenti l’Ucraina sarebbe già stata sottomessa a Putin. Quanto al piano di difesa europeo, mi riconosco nella posizione di Schlein: no al riarmo nazionale, sì a un esercito europeo.
Gli italiani sono stati sempre piuttosto tiepidi sul tema delle armi all’Ucraina. Forse il pacifismo italiano ed europeo è più che altro un pacifismo “di comodo”, un pacifismo egoista?
Ci sono tre tipi di pacifismo:
1. Un pacifismo etico e attivo, con radici culturali profonde, sia cattoliche che laiche.
2. Un pacifismo di comodo, che si limita a dire: “Che fastidio questi ucraini, se si arrendessero torneremmo tutti alla normalità”.
3. Un pacifismo bellicoso e minoritario, che brucia bandiere europee e diffonde calunnie.
Senti, parliamo di politica interna: Meloni e Salvini sono divisi, Schlein e Conte sono divisi. Gli italiani cosa devono pensare di fronte a una destra e una sinistra spaccate al loro interno?
La destra ha un ostacolo strutturale a essere europeista, perché ha una forte componente nazionalista. La sinistra è alle prese con un dilemma: l’idea di riarmare gli Stati nazionali non è logica né popolare.
Mario Draghi, in Parlamento, ha detto una cosa interessante: se i Paesi europei fossero uniti, avrebbero potuto trattare sul prezzo dell’energia, ottenendo condizioni migliori. Questo vale per tutto: dagli approvvigionamenti alle spese militari.
Chiudiamo con una piccola sorpresa: nel 2016, Giorgia Meloni scriveva sui social che Renzi, Hollande e Merkel avevano meno idee chiare sull’Europa rispetto ai firmatari del Manifesto di Ventotene, detenuti in carcere nel 1941.
Le posizioni cambiano, a seconda che si stia all’opposizione o al governo.
Io, nel 2016, non mi ricordo cosa dicevo. Meloni, però, è molto più giovane di me, dovrebbe ricordarselo.
Esatto. Ma ormai il web ha una memoria profondissima.
Grazie, Michele Serra, per essere stato con noi. Il prossimo ospite è molto interessante.